Bruxelles 05-06-2013
Un modello di sviluppo imposto alla Sardegna con obiettivi solo politici e non economici ha portato l’economia sarda al disastro e ha consumato una parte rilevante del suo territorio rendendolo quasi improduttivo perchè compromesso da forme di inquinamento permanente.
Al disastro causato dal crollo dell’industria, vere cattedrali di carta velina volute da una concomitanza di interessi economici, politici, sindacali .
– 3200 aziende chiuse negli ultimi 5 anni , 928 nel 2012 nel settore commercio e turismo
– muoiono 27 ditte al giorno.
– 4948 aziende sono all’asta per un valore di 31 mln di euro in seguito a sequestro giudiziario
– Pressione fiscale insostenibile che influisce per il 68% sul ricavato contro il 12% dell’Irlanda ed il 34% dell’Inghilterra.
– Burocrazia ossessiva ed impeditiva che costringe le aziende a 120 adempimenti all’anno, uno ogni 3 giorni, ha avuto una evoluzione funzionale in grado di condizionare la politica dalla quale dovrebbe invece dipendere.
– 8 giorni al mese vengono del titolare o di un preposto sono destinati agli adempimenti burocratici
– 60 giorni per pagare altrimenti equitalia contro i 148 giorni per essere pagati dalle P.A. dove nella sanità si arriva a 308 giorni.
– Amministrazione pubblica che costa più di 2,7 mld al netto della sanità con un patto di stabilità di 2,8 mld euro con limite di spesa di 2,2 mld, non rimane niente per il sostegno alle imprese.
– 63% incidenza della spesa pubblica sul Pil contro il 48% in Italia, ogni sardo produce mediamente 19.700 euro di Pil, il 63% pari a 12.400 euro serve a coprire le spese della pubblica amministrazione, con 146 occupati, uno ogni 4 occupati contro uno ogni 6 occupati in Italia..
– Calo de -13,3% della spesa delle famiglie in 4 anni.
– Contrazione -5,5% del credito al settore produttivo nel 2012, le banche hanno più interesse ad investire in certificati dello stato che non nel credito alle imprese.
– 8,2% è il tasso medio pagato su di un prestito a breve termine.
– -1 ounto di Pil dal 2007 ad oggi
– 2000 imprese in crisi
– 32 indice di isolamento della Sardegna secondo solo al 35 di Menorca contro il 23 di Corsica e pari a 1/5 dell’indice 149 dell’isola di Pasqua:
E’ evidente che la Sardegna in questo contesto politico, economico, istituzionale non si può salvare e può pagare un prezzo ancora più caro del resto dello stato italiano proprio perchè non ha la possibilità di adottare correttivi propri al di fuori di un sistema politico-economico deciso da altri.
LA SOVRANITA’ VA OLTRE IL DIRITTO E DIVENTA UNA NECESSITA’
La Sardegna non ha molto tempo per salvarsi dalla miseria, deve adottare delle politiche economiche e sociali nettamente diverse da quelle imposte dallo stato, in grado di salvare le proprie singole aziende e tutta l’azienda Sardegna mettendole nelle condizioni di salvarsi, stare nel mercato, fare sistema e essere produttive utilizzando al meglio, potenzialità, risorse primarie della Sardegna e coprendo i settori dove oggi l’isola importa o è carente nell’offerta.
LA SARDEGNA HA ASSOLUTO BISOGNO DI UNA FISCALITA’ DI VANTAGGIO CHE GLI PERMETTA DI SUPERARE DA SUBITO IL GAP DELLE DISECONOMIE, 20%, E GLI PERMETTA IN SEGUITO DI STARE SUL MERCATO
COSA FARE?
– L’INDIPENDENZA
Se la Sardegna fosse indipendente, avesse una propria soggettività politica sovrana sulle proprie dinamiche interne e in quota di quelle esterne in compartecipazione, potrebbe creare le condizioni per uscire dal sentiero del disastro.
Il provvedimento che riduce sull’Irap, art. 2 Legge Regionale 23 maggio 2013, n.12
alle aziende sarde, adottato dal consiglio regionale della Sardegna è una evidente dimostrazione che solo se si ha sovranità si può decidere. Quel provvedimento, che crea un minimo di fiscalità di vantaggio temporanea, si è potuto adottare perche su quella materia la RAS ha sovranità.
Con l’indipendenza non dovendo fare i conti con gli impedimenti e le usure dello stato italiano, la fiscalità di vantaggio sarebbe fattibile anche rispettando direttive e parametri imposti dalla CEE.
Se l’Europa fosse quella dei popoli e non quella degli stati-nazione avrebbe il coraggio di liberare le nazioni senza stato, come la Sardegna, dalla gabbia impeditiva degli stati nazione e avrebbe permesso loro la soggettività politica di cui necessitano per poter decidere i propri modelli di sviluppo e le proprie politiche economiche ed energetiche in base alle loro esigenze, alle loro risorse primarie, alle loro congenialità e alla loro cultura.
L’Europa deve avere il coraggio di portare il problema delle nazioni senza stato fuori dai confini dello stato-nazione impedente ed assimilare il problema ad una vertenza tra stati membri per dare soluzioni politiche a problemi politici.
Come non ci sono più campi di battaglia per le vertenze tra stati non ce ne devono essere tra stati-nazione e nazioni senza stato.
Dello strumento Europa ne devono beneficiare anche i popoli e non solo gli stati e le banche.
– LA ZONA FRANCA
Non è un’alternativa all’indipendenza ma uno strumento che crea maggiori spazi di sovranità ed opportunità.
E’ UNA RIVENDICAZIONE STORICA
1896- Zona Franca in srd, da Giuseppe Todde venne indirizzata la proposta alla commissione d’inchiesta Pais-Serra .
1918 – Proposta simile da parte di Attilio Deffenu e Umberto Cao
1921 – Egidio Pilia pubblica l’opuscolo “ L’Autonomia doganale”, sistematizzando e dando gambe concrete alla tradizionale richiesta di Istituti franchi per la Sardegna.
1928 – Paolo Pili – Porto franco di Cagliari
1983 – Indagine conoscitiva sulle Zone franche condotta dalla III Commissione del Consiglio regionale
1984 – Proposta sardista, con Mario Melis, Presidente della Giunta, che fece elaborare una Proposta di Zona Franca e modifica dell’art. 12 dello statuto.
Seguono almeno altre 10 proposte di legge regionali o statali di diversa estrazione politica fino all’ultima presentata dal PSDAZ il 14 maggio 2013 e alle delibere di giunta n. 8/2 DEL 7.2.2013 e n. 9-7 del 12-02-2013.
IL DIRITTO DEI SARDI ALLA ZONA FRANCA
Tenuto conto che è doverosa una distinzione tra Zona Franca Fiscale e Zona Doganale
1) ZONE FRANCHE FISCALI . Il Codice doganale europeo distingue nettamente i territori che “non fanno parte del territorio doganale” dalle zone franche doganali. I territori collocati “fuori dal confine doganale” (articolo 3 del Reg. n. 450/2008) trovano il loro riconoscimento, per ragioni storiche o geografiche, all’interno della normativa nazionale ed europea, in tali territori non trova applicazione la normativa in materia doganale e tutte le merci e i servizi sono esenti da IVA
2) ZONE FRANCHE DOGANALI . Le “zone franche doganali” (articolo 155 del Reg. n. 450/2008), invece, fanno parte a tutti gli effetti del territorio doganale e sono soggette al codice doganale comunitario; a esse vengono riconosciute delle particolari agevolazioni. Infatti, le merci non comunitarie introdotte sono considerate per fictio iuris, ai fini dell’applicazione dei dazi all’importazione e delle altre misure di politica commerciale, come merci non situate nel territorio doganale della Comunità.
Secondo il movimento , che si è sviluppato sulla rivendicazione di Zona Franca Integrale , nella lettera aperta inviata al Presidente Cappellacci, tale diritto è basato sull’ art. 12 della legge costituzionale n. 3\1948, ( che non attribuisce nessuna caratteristica extradonale al territorio ma da la possibilità di istituire punti franche, zone franche doganali), e sul dlgs 75\98 ( che è in applicazione dell’art. 12 dello statuto e quindi si riferisce a zone franche solo doganali), senza dubbio quanto previsto dall’art. 12 dello statuto e normato dal dlgs 75/98 fa riferimento a Zone Franche Doganali e non Fiscali.
A sostegno della tesi del comitato si cita l’art. 2 e 36 del dpr 43\1973 ( T.U. doganale tutt’ora in vigore)“Sono assimilati ai territori extra-doganali i depositi franchi, i punti franchi e gli altri analoghi istituti, di cui agli articoli 132, 164, 166 e 254. ( valido parchè assimila i punti franchi ai territori extradoganali) ( art. che si è tentato di modificare nel 2002 aggiungendo….” ed il territorio della regione Sardegna compreso nei comuni dotati di porti ed aeroporti, costituito in zona franca». su proposta al senato di P.Mulas e altri) perché si ritiene che il termine zona franca o extra-doganali sia usato come finzione e la finzione di extraterritorialità non comporta l’esclusione del territorio franco dall’ordinamento doganale dello Stato, ma determina che quest’ultimo, sebbene di fatto situato entro il territorio doganale, agli effetti dell’imposizione tributaria è considerato fuori della linea doganale ed è così sottratto al regime doganale ordinario, per essere assoggettato a un regime speciale, il quale sostanzialmente consente di introdurre, depositare e manipolare, trasformare e consumare le merci estere nella zona franca in esenzione da tributi e da formalità doganali”. Cio’ sembra confermato dall’art 3 del Codice doganale comunitario aggiornato (Reg. CE 23/4/2008 n. 450 esplicita il valore della fictio del disposto dell’art. 2 del Dpr 43/73.
Non riguarda la Sardegna invece la cosiddetta clausola di salvaguardia contenuta nel trattato istitutivo della comunità europea (l’articolo 351 del TFUE in vigore) ( che sancisce il rispetto degli obblighi tra stati aderenti, antecedenti al 1° gennaio 1958 ma solo per gli stati mebri)e dall’ art. 87 ex 92, e dall’art 307 ex 234 del Trattato firmato a Roma il 25 marzo 1957 (Definisce gli aiuti di stato e gli aiuti compatibili per la discrimine positiva di cui sopra) .
La disposizione garantisce agli Stati la salvaguardia degli impegni pattizi (diritti e obblighi) sorti precedentemente all’entrata in vigore dello stesso Trattato nel caso di “convenzioni concluse .. tra uno o più Stati membri da una parte e uno o più Stati terzi dall’altra”. Tale clausola di salvaguardia è stata applicata al “regime speciale” (ossia un autonomo regime giuridico che deroga la normativa nazionale ed europea in materia doganale) di cui gode storicamente il Porto di Trieste (e non per il Comune di Livigno) che trova il proprio fondamento giuridico nell’allegato VIII del Trattato di pace del 1947 che salvaguarda il regime del porto franco di Trieste.
Non ricorre la salvaguardia nel caso della Sardegna la cui specialità trova il proprio fondamento giuridico nello Statuto speciale (legge costituzionale n. 3 del 1948) che, seppure norma di rango costituzionale, è interna allo Stato italiano e quindi non ha alcun rilievo nell’ordinamento internazionale. Va anche aggiunto che nello Statuto sardo non vengono istituiti i punti franchi, ma l’articolo 12 dispone che “saranno istituiti punti franchi” e che quindi al momento dell’entrata in vigore del Trattato di Roma in Sardegna non erano presenti zone franche.
In quanto alle deliberazioni della giunta regionale n. 9/7 del 12 febbraio 2013 e n. 8/2 del 7 febbraio 2013 risultano anche a mio parere, come dice il consigliere regionale Paolo Maninchedda viziate sotto diversi profili:
a) violano la competenza esclusiva dello Stato nella materia doganale( Statuto speciale, art. 12 e quella esclusiva nella materia “rapporti dello Stato con l’Unione europea” (Costituzione, articolo 117, comma secondo, lettera q) ); violano inoltre l’articolo 155 del citato Regolamento (CE) 450/2008 nella parte in cui riserva solo agli Stati membri – non all’UE – la potestà di destinare talune parti del territorio doganale della Comunità a zona franca.
b) Confondono i “territori non inclusi nel territorio doganale” e le “zone franche doganali”.
c) L’iniziativa per l’”attivazione” delle zone franche sarde, istituite dalla norma di attuazione del 1998 Dlgs 10 marzo 1998, n. 75, nei porti di Cagliari, Olbia, Oristano, Porto Torres, Portovesme, Arbatax ed in altri porti ed aree industriali ad essi funzionalmente collegate o collegabili, e della loro delimitazione è di esclusiva competenza della Regione che la propone al Governo che poi adotta il relativo decreto. La Commissione europea non ha alcuna competenza in merito.
Probabilmente la Giunta della Regione Sardegna dovrebbe valorizzare quanto disposto dall’art.1 della L.R. 10/2008 alla lettera d) che recita: “d) promuovere l’attuazione delle disposizioni di cui agli articoli 1 e 2 del decreto legislativo 10 marzo 1998, n. 75 (Norma di attuazione dello Statuto speciale della Regione autonoma della Sardegna concernente l’istituzione delle zone franche) e avviare la procedura per l’istituzione delle zone franche in ciascuno degli ambiti previsti seguendo l’iter secondo le competenze di Regione, Stato e CEE. Si avrebbe comunque delle zone franche parziali e non integrali.
Se l’inerzia politica del sistema del disastro sardo continua a svolgere la sua “funzione” di intermediazione dell’apparato politico-affaristico italiano invece che valorizzare almeno ciò che sicuramente è possibile, portando a termine subito l’istituzione e l’operatività delle zone franche doganali possibili non si potrà neanche godere della norma sopra citata , l’art. 2 e 36 del dpr 43\1973 ( T.U. doganale tutt’ora in vigore)“Sono assimilati ai territori extra-doganali i depositi franchi, i punti franchi e gli altri analoghi istituti, di cui agli articoli 132, 164, 166 e 254. che sembra consentirebbe di assimilare i punti franchi doganali a zone franche fiscali e quindi riconoscerli come territori extradoganali.
FISCALITA’ DI VANTAGGIO (Zona Franca fiscale)
Ribadito che a mio parere il vero obiettivo deve essere l’indipendenza e zona franca non può essere un suo surrogato, più che aprire una vertenza che rischia di assumere caratteri di assistenzialismo preteso, per diritti non riconosciuti e difficili da farsi riconoscere, da uno stato, quello italiano, prossimo alla bancarotta, sia più opportuno ed efficace puntare sulla possibilità di istituire un sistema economico rilevante in grado di progettare una fiscalità di vantaggio adeguata alla situazione sarda in concorrenza con il sistema economico fallimentare italiano, all’interno della normativa europea e aperta anche a tutto il mediterraneo.
La questione fiscalità di vantaggio va esaminata in ambito europeo e in ambito statale.
Nella situazione attuale della Sardegna, qualunque fiscalità di vantaggio che preveda interventi sostitutivi da parte dello stato è CONSIDERATA AIUTO DI STATO dall’ art. 87 ex 92, e dall’art 307 ex 234 del Trattato firmato a Roma il 25 marzo 1957 (Definisce gli aiuti di stato e gli aiuti compatibili per la discrimine positiva di cui sopra) .
Qualsiasi fiscalità di vantaggio va prima negoziata con lo stato e messa nelle condizioni affinché la Comunità Europea autorizzi tale regime fiscale “speciale”.
Gi argomenti a sostegno di un regime fiscale “speciale” per la Sardegna possono basarsi sostanzialmente sull’applicazione di quanto previsto dall’articolo 174 del Trattato di Lisbona e dall’ art. 87 ex 92, e dall’art 307 ex 234 del Trattato firmato a Roma il 25 marzo 1957, punto 3 comma a), nei quali vengono previsti interventi concretti volti a compensare gli elementi di debolezza socio economica di tipo strutturale legati all’insularità.
Un altro fattore che va nella direzione auspicata dalla nostra regione sul quale fare leva nella contrattazione con lo Stato e con l’Unione europea per l’ottenimento una fiscalità di vantaggio è la sentenza della Corte di giustizia del 6 settembre 2006 (cosiddetta Sentenza Azzorre).
CONTESTO GIURIDICO RILEVANTE
Tale sentenza dispone AL COMMA 58, che un ente regionale o territoriale, nell’esercizio dei poteri sufficientemente autonomi rispetto al potere centrale, può stabilire un’aliquota fiscale inferiore a quella nazionale applicabile unicamente all’interno del territorio di sua competenza” e che “il contesto giuridico rilevante per valutare la selettività di una misura fiscale potrebbe limitarsi all’area geografica interessata dal provvedimento qualora l’ente territoriale, segnatamente in virtù del suo statuto e dei suoi poteri, ricopra un ruolo determinante nella definizione del contesto politico ed economico in cui operano le imprese”;
La Corte di giustizia, nella in questa sentenza, ha ritenuto che i poteri sufficientemente autonomi debbano fare riferimento a un’autorità regionale o territoriale dotata sul piano costituzionale di uno statuto politico e amministrativo distinto da quello del governo centrale e che per l’ammissibilità della misura agevolativa l’Ente deve assumersi le conseguenze politiche ed economiche della misura.
Sul piano STATALE poi a nostro favore depongono le sentenze della Corte costituzionale
n. 102/2008 e n. 357/2010 che hanno “riconosciuto” alle Regioni a statuto speciale il potere di istituire tributi propri ma anche di incidere sui tributi erariali interamente devoluti o partecipati consentendo la modifica sia della base imponibile che delle aliquote con il solo limite di non incrementare le aliquote massime.
Paradossalmente le regioni a statuto ordinario sono su questo tema “più avanti” della nostra regione. Infatti, la legge 5 maggio 2009, n. 42 in materia di federalismo fiscale, all’articolo 7, e successivamente il decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, attribuisce alle Regioni ordinarie la potestà di aumentare o diminuire l’aliquota dell’addizionale regionale IRPEF nonché di ridurre le aliquote IRAP fino ad azzerarle concedendo la possibilità di disporre deduzioni dalla base imponibile
Per la Sardegna, invece, l’introduzione di una fiscalità agevolata è percorribile attraverso la modifica del titolo III dello Statuto (attraverso una legge ordinaria statale) ovvero con l’inserimento di tale prerogativa nella norma di attuazione dell’articolo 8 dello Statuto ancora in fase di discussione.
PRESUPPOSTI E PRIMI PASSI INDISPENSABILI PER UNA ZONA FRANCA IN SARDEGNA
PER SUPERARE GLI SBARRAMENTI EUROPEI SUGLI AIUTI DI STATO
– Nel giusto tempo, dare alla Sardegna una soggettività politica indipendente dallo stato italiano.