Chi non ricorda l’orrore del disastro di Fukushima? Le immagini della straziante devastazione di quell’11 marzo 2011 sono impresse nella nostra memoria, e sono impresse in una ferita putrescente che ancora non ha smesso di soffrire. Il disastro mondiale senza precedenti si espande portando con sé una scia di morte e distruzione.
Si espande diventando ogni giorno più grave. Le coste della Cina, degli Stati Uniti (e non solo) stanno registrando una costante e inevitabile ondata di morte e distruzione.
Il Nord America è compromesso, con il rischio sempre crescente per lo stato di natura. Ogni giorno 300 tonnellate di acque contaminate affluiscono nell’Oceano Pacifico e i tecnici parlano di almeno quarant’anni per ripulire il disastro nucleare.
Le radiazioni sopravvivranno a noi con un margine molto ampio, qual è il rischio per le popolazioni, si ammaleranno? (I pesci e gli orsi, monitorati già lo sono)
«Le conseguenze – conferma il “Japan Times” – potrebbero essere di gran lunga più gravi di qualsiasi incidente nucleare che il mondo abbia mai visto: se una barra di combustibile cadesse, si rompesse o si impigliasse mentre viene rimossa, i possibili peggiori scenari includono una grande esplosione, una fusione nel bacino o un grande incendio.
Ognuna di queste situazioni potrebbe portare a massicci rilasci di radionuclidi mortali nell’atmosfera, mettendo in grave rischio gran parte del Giappone – compresi Tokyo e Yokohama – e anche i paesi vicini». Secondo la “Cnbc”, il pericolo maggiore riguarda il possibile sversamento di acqua in uno dei bacini, che potrebbe incendiare il combustibile.
«Un enorme incendio del combustibile esaurito – dichiara alla “Cnn” il consulente nucleare Mycle Schneider – probabilmente farebbe apparire poca cosa le attuali dimensioni della catastrofe, e potrebbe superare le emissioni di radioattività di Chernobyl di decine di volte».
Una sorta di apocalisse: «Le pareti della piscina potrebbero avere perdite al di là della capacità di fornire acqua di raffreddamento, o un edificio del reattore potrebbe crollare in seguito una delle centinaia di scosse di assestamento.
Poi, il rivestimento del combustibile potrebbe incendiarsi spontaneamente emettendo il suo intero accumulo radioattivo».
Sarebbe il più grave disastro radiologico mai visto fino ad oggi, conferma Antony Froggatt nel suo “World Nuclear Industry Status Report 2013”, redatto con Schneider.
E per Gundersen, direttore di “Fairewinds Energy Education”, l’operazione si prospetta «piena di pericoli», e la verità è che «nessuno sa quanto male potrebbero andare le cose». Ciascun assemblaggio di barre combustibili pesa 300 chili e misura 4 metri e mezzo. Gli assemblaggi da rimuovere sono 1.331, informa Yoshikazu Nagai della Tepco, più altri 202 stoccati nel bacino: le barre di combustibile esaurito inoltre contengono plutonio, una delle sostanze più tossiche dell’universo, che si forma durante le ultime fasi del funzionamento di un reattore.
«Il problema di una criticità che colpisca il bacino del combustibile è che non la si può fermare, non ci sono barre di controllo per gestirla», sostiene Gundersen. «Il sistema di raffreddamento del bacino del combustibile esaurito è stato progettato solo per rimuovere il calore di decadimento, non il calore derivante da una reazione nucleare in corso».
E’ in corso una censura sistematica delle notizie sui media italiani. Non si portano a conoscenza i cittadini della distruzione delle coste in Alaska, in California, in Messico..in un oblio sistematico, si cerca di portare le masse ad un sonno sempre più profondo.
Mi vengono in mente i filmati precedenti alla costruzione della centrale giapponese, dove le popolazioni manifestavano perché si costruisse il più presto possibile, la gente del luogo aveva bisogno di posti di lavoro, ricordo che Fukushima è una delle regioni più povere del Giappone (non a caso).
Cosa ha a che fare una regione sperduta del Giappone, con la nostra Terra, la Sardegna? La risposta sembra scontata, ma ad un’analisi approfondita è molto più simile di quanto pensiamo.
Grazie all’intuizione del coordinatore nazionale di Sardigna Natzione Indipendentzia, da sempre impegnata non solo nel promuovere tematiche politiche ma anche di salvaguardia ambientale, si decide nel 2011 di effettuare una raccolta di firme per promuovere un referendum consultivo (la Sardegna essendo territorialmente annessa all’Italia, anche se regione autonoma, non ha diritto di decidere su questioni “sovranazionali”).
Inizia un iter che rimarrà nella storia, con banchetti sparsi in tutta l’isola, volontari, donne, ragazzi, attivisti, raccoglie le firme sufficienti per indire un referendum non solo per impedire la costruzione di centrali nucleari ma anche dei siti di stoccaggio di scorie radioattive.
Vengono raccolte 16.000 firme, seimila in più del necessario.
Si indice un’assemblea, dalla partecipatissima riunione di domenica 4 luglio 2011 a santa Giusta emerge chiaramente la volontà di mettere in moto un coordinamento di tutti i gruppi che si riconoscono nella lotta al nucleare, per informare e mobilitare la gente affinché si voti e si raggiunga il quorum del 33% necessario a rendere valido il Referendum.
A Santa Giusta nasce uno spazio di condivisione aperto a tutti i Sardi, indipendentemente dalla propria appartenenza partitica, un’occasione non solo per riflettere su una politica energetica ad alto rischio come quella nucleare ma anche per affermare il diritto del Popolo Sardo ad esprimersi su questioni di questo tipo.
Si apre così, uno spazio fluido dove ha risalto il singolo cittadino come parte integrante e protagonista delle decisioni, non più un riflesso del potere italico costituito ma parte attiva e responsabile, citando Bustianu Cumpostu:
<<ogni sardo ha la sua unmilioneseicentomilionesima parte di responsabilità da cui non può prescindere>>.
Lo stato italico, scatena i suoi cani per convincere i sardi, ma anche gli italiani, (referendum italiano del giugno 2011) che il nucleare è cosa buona e giusta. In tanti ci cascano, ancora convinti che in TV si faccia corretta informazione.
Non resta dunque, che percorrere in lungo e in largo la Sardegna per spiegare alla gente quali sono i rischi del nucleare, ma soprattutto che la Sardegna non ne ha bisogno in quanto energeticamente è già autosufficiente, che il nostro Popolo ha il diritto di salvaguardare il proprio territorio dai rischi che possono derivare da questa nuova servitù, chiamando tutti ad una scelta di responsabilità verso le generazioni future, trasformandola in una battaglia di civiltà nella quale tutti possiamo fare la nostra parte e dare un contributo.
La nostra battaglia è stata affiancata da tanti, senza colori politici, anzi è stata una grande esperienza di crescita e condivisione totali, che ci ha dato la possibilità anche di confrontarci, ognuno con le proprie ideologie, fianco a fianco, tra la nostra gente appena in tempo per mostrare a chi “ingenuamente” cadeva nell’ennesima trappola di servitù, dove in nucleare veniva proposto come una merce e una possibilità di posti lavoro. Evitando che come a Fukushima, si credesse nei posti di lavoro!
Abbiamo dimostrato che il popolo ha un’intelligenza, un cuore, infatti il risultato del referendum è stato un plebiscito: quasi novecentomila voti, con il contributo di tanti emigrati che hanno fatto centinaia di chilometri (senza il rimborso dell’AIRE, perché il referendum era regionale).
Il popolo sardo si è espresso, con un referendum consultivo, visto che l’Italia può avere il potere di calpestare la volontà del popolo sardo, ancora una volta (vedi servitù militari, ecc), noi non ci stiamo. Ci rifiutiamo di cedere e con tutta la fortza che abbiamo ci opponiamo alla costruzione di un sito unico di stoccaggio non solo nella nostra Terra ma anche nella penisola perché è in atto una grave mistificazione, quella della volontà che lo chiede l’Europa. Vedremo che non è così, vediamo il piano italico:
<< realizzazione di un deposito unico nazionale per la bassa e media attività (prima e seconda categoria), ma che ospiti, “temporaneamente di lungo periodo” (70-100 anni) anche i rifiuti ad alta attività (terza categoria). Per questi ultimi le linee guida dell’Agenzia di Vienna (IAEA) prevedono la sistemazione in depositi geologici profondi, ma una soluzione di questo genere non è ancora mai stata messa in opera e testata per un tempo sufficientemente lungo. Per quelli di bassa e media attività il “vincolo territoriale” del Deposito avrà una durata di tre secoli, dopo di che il sito verrà rilasciato come non più “nucleare”.>>
La scelta italica è unica al mondo: non si è mai visto alcuno stato, talmente pazzo da mettere insieme le varie tipologie di rifiuti di bassa e media con quelli di alta attività. Per quanto riguarda la scelta dei siti, viene prevista una gara tra i comuni che desiderano questo ingombrante ospite ma non è prevista dal piano nessuna opzione di dover gestire le scorie nei siti già esistenti, che sarebbe la soluzione più logica. Dando false speranze alle popolazioni residenti nei luoghi adiacenti i siti contaminati dalle centrali dismesse che abbandonate quasi a sé stesse stanno producendo malati in un numero davvero preoccupante, promettendo un sito unico, cioè un altro luogo da inquinare pesantemente.
La normativa europea, infatti, non impone all’Italia nessun deposito unico nazionale, ma di elaborare un piano di gestione e questo dovrebbe includere tutti gli esiti possibili. Sembra invece, un ennesimo piano di speculazione di interessi altissimi, ormai tristemente palese ai sardi e agli italiani, sulle catastrofi e sulle disgrazie, emerse da indagini e intercettazioni telefoniche. Interessi che speculano sulla distruzione e sulla morte, un sito unico che l’Italia non saprebbe gestire nemmeno nella costruzione, figuriamoci nella gestione delle scorie.
Domenica 18 gennaio 2015, a Santa Giusta, ci siamo riuniti, ancora una volta in assemblea, il comitato SINONUCLE, e tutti i presenti faranno l’impossibile per impedire questo scempio. Siamo stanchi di essere la discarica italica, non ci stiamo a compromettere il nostro territorio per secoli, non ne abbiamo il diritto. L’Italia non ne ha il diritto, ha speculato anche troppo svendendo il nostro territorio al migliore offerente. I sardi compatti non ci stanno, i sardi compatti ribadiscono che si sono già espressi, e sulla volontà ed espressione di un popolo non si discute.
Monica Pisano
22/01/2015